L’Agenzia delle Entrate aggiunge un nuovo tassello al mosaico relativo alla tassazione delle criptovalute con le risposte ad interpello n. 433/E/2022 e n. 437/E/2022 in cui viene trattata la tassazione legata alla remunerazione dell’attività di staking di criptovalute.
Nello specifico, il caso oggetto di analisi di quest’ultimo documento è quello di un soggetto che ha aperto un conto online (wallet) per la gestione di valute virtuali presso una piattaforma gestita da una società italiana che offre servizi di compravendita/gestione (c.d. exchange) e servizi di staking su criptovalute.
In cosa consiste lo staking di crypto?
Lo staking è “essenzialmente il processo utilizzato dalla blockchain delle criptovalute per raggiungere il consenso distribuito sulla generazione di un nuovo blocco attraverso il meccanismo di “PoS” (Proof-of- Stake), vale a dire un meccanismo algoritmico e criptografico che ricomprende tutte le operazioni informatiche volte a verificare la correttezza dei dati e, quindi, a registrare gli stessi nella relativa blockchain”.
Lo staking di crypto permette di guadagnare un premio pari a un tasso percentuale calcolato sull’ammontare messo in stake, ricordando il meccanismo del conto deposito che frutta interessi.
Staking di criptovalute tassato come reddito di capitale
Rispondendo all’interpello, l’Agenzia delle Entrate considera applicabili, per l’attività di staking, le previsioni dell’articolo 44 comma 1 lettera h del TUIR, norma di chiusura dei redditi di capitale, con la quale si assimilano alla fattispecie “gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l’impiego del capitale”, in quanto, come precisato dall’Agenzia, “per la configurabilità di un reddito di capitale è sufficiente l’esistenza di un qualunque rapporto attraverso il quale venga posto in essere un impiego di capitale”.
Senza entrare nel merito dell’opportunità di questo inquadramento normativo, in attesa che l’intera materia venga analiticamente disciplinata anche dal punto di vista fiscale, al contribuente basti sapere che, allo stato attuale, l’attività di staking dalla prassi viene considerata un reddito di capitale, per cui potrà comportarsi di conseguenza nell’adempiere agli obblighi fiscali.
Più concretamente, la remunerazione in criptovalute dell’attività di staking, se accreditate sul wallet tenuto presso una società italiana, sarà soggetta a ritenuta a titolo d’acconto del 26% ex articolo 26 comma 5 del DPR 600/73.
Quindi l’exchange residente in Italia, che accredita al contribuente italiano (persona fisica fuori dall’attività d’impresa) delle criptovalute derivanti da attività di staking, dovrà assumere il ruolo di sostituto d’imposta e applicare una ritenuta a titolo d’acconto del 26%; imposta che dovrà essere poi definita, in sede di dichiarazione annuale dei redditi.
Il monitoraggio fiscale delle crypto in staking non è obbligatorio
Approfondendo la casistica presentata all’Agenzia delle Entrate, si apprende infatti che la società che gestisce la piattaforma presso cui il contribuente ha aperto il wallet è italiana. Dal momento in cui la società italiana è proprietaria della chiave privata, non deriva l’obbligo del monitoraggio fiscale e viene confermata l’esclusione dall’assoggettamento da IVAFE.