Determinare la residenza fiscale è cruciale per il calcolo del pagamento delle imposte di un soggetto persona fisica.
La definizione di residenza ai fini fiscali è disciplinata dall’art. 2 comma 2 del TUIR dove viene indicato come elemento identificativo quello dell’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente o la residenza o domicilio in Italia per la maggior parte del periodo d’imposta.
Tuttavia, per le persone fisiche residenti in Paesi a fiscalità privilegiata cosiddetti “Black List”, i criteri per la determinazione della residenza fiscale individuati dal comma 2-bis dell’articolo 2 predetto del TUIR fanno delle presunzioni specifiche, salvo prova contraria.
Residenza fiscale in Italia
Alla principale presunzione di residenza basata sulla iscrizione all’anagrafe italiana per almeno 183 giorni all’anno (184 in caso di anno bisestile), che comporta l’automatica residenza fiscale in Italia per l’intero anno solare di una persona fisica, l’art.2 comma 2-bis del TUIR ne affianca un’altra rafforzativa per coloro i quali sono “espatriati” e quindi usciti dall’Italia per andare a risiedere in paesi considerati dal legislatore a fiscalità privilegiata.
Per questi, anche se hanno provveduto a cancellarsi dall’anagrafe della popolazione residente, il solo fatto di aver acquisito la residenza in Stati o territori individuati dal legislatore (con apposito Decreto) come a fiscalità privilegiata, li fa considerare automaticamente residenti in Italia, a meno che non dimostrino il contrario.
Sarà quindi onere del contribuente dimostrare e documentare, in caso di verifica a suo carico, l’effettiva residenza all’estero. Non è sufficiente, per loro, la mera iscrizione alle liste AIRE.
Recente Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 18702/2021, è intervenuta sul tema della residenza fiscale di una persona fisica in un paese cd. Black List.
Con questa ordinanza si è espressa proprio in merito all’accertamento per l’anno 2008 in capo ad una persona fisica Italiana iscritta alle liste AIRE dei residenti all’estero (residenza in un paese individuato dal legislatore come a fiscalità privilegiata) sin dal lontano 1987 alla quale era imputata (più di 20 anni dopo), la residenza nel territorio nazionale in virtù di compensi da questa percepiti per essere rappresentante unico di una società in Italia.
La Suprema Corte ha confermato la tesi dell’Agenzia delle Entrate indicando che incombe sul contribuente dimostrare di avere reciso ogni rapporto significativo con il territorio dello Stato. Ha anche precisato come il luogo della “normale residenza” deve essere individuato nel centro permanente degli interessi della persona, facendo riferimento ad una valutazione globale di tutti gli interessi del contribuente, sia agli affari economico-patrimoniali prioritariamente, che anche al luogo delle relazioni affettive e familiari. Nonostante la lontana iscrizione all’Anagrafe Italiana Residenti all’Estero, ai fini imponibili fiscali prevale sempre il collegamento economico-patrimoniale e familiare con l’Italia.