Con la circolare n.25/E dello scorso 18 agosto 2023 l’agenzia delle Entrate si è soffermata sui profili tributari del lavoro da remoto. In particolare, è stato esaminato in modo approfondito il fenomeno del c.d. smart working laddove lo svolgimento della prestazione di lavoro sia effettuata in uno Stato differente rispetto al luogo della sede di lavoro. Occorre innanzitutto partire dal concetto di residenza fiscale.
Il concetto di residenza ai fini fiscali
L’articolo 2, comma 2, Tuir afferma il principio secondo il quale si considerano residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta (ossia 183 giorni in un anno, o 184 giorni in caso di anno bisestile) sono, in alternativa, i) iscritte nelle anagrafi della popolazione residente, ii) hanno nel territorio dello Stato italiano il proprio domicilio, ovvero iii) hanno nel territorio dello Stato italiano la propria residenza.
Tali condizioni sono tra loro alternative, con la conseguenza che anche la sussistenza di una sola delle stesse è sufficiente a radicare la residenza di una persona nel territorio dello Stato italiano.
Residenza e smart working
Ha precisato la circolare 25/E che i criteri di radicamento della residenza fiscale delle persone fisiche restano quindi quelli previsti dall’articolo 2 del TUIR, e non subiscono alcun mutamento per coloro che svolgono un’attività lavorativa in smart working. In altri termini, le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa non incidono sui criteri di determinazione della residenza fiscale, che restano ancorati all’integrazione di almeno una delle suesposte condizioni di cui all’articolo 2 del TUIR.
Si ipotizzi, ad esempio, il caso di un cittadino straniero, non iscritto nelle anagrafi della popolazione residente, che lavora dall’Italia in smart working per un datore di lavoro estero, permanendo per la maggior parte dell’anno solare presso un’abitazione ubicata nel nostro Stato unitamente al coniuge e ai figli. In tale circostanza, sebbene non risulti soddisfatto il requisito formale di iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente, non si può non considerare che per la maggior parte del periodo d’imposta il cittadino estero mantiene stabilmente nel territorio dello Stato la sede principale dei suoi rapporti personali e affettivi (familiari) e la sua dimora abituale. Pertanto il soggetto avrà radicato la propria residenza fiscale in Italia.
Analogamente, il cittadino italiano iscritto all’AIRE per la maggior parte del periodo di imposta, che abbia sottoscritto un contratto di lavoro con un datore estero nel quale sia indicata come sede ordinaria di lavoro il Paese risultante dall’iscrizione all’AIRE (o altro Stato estero), potrà considerarsi fiscalmente residente in Italia qualora vi mantenga la dimora abituale, dalla quale svolga la prestazione lavorativa con modalità agile.