A partire dal periodo d’imposta 2024, le imprese non potranno più fruire dell’agevolazione Ace introdotta nel nostro ordinamento dal D.L. 201/2011. È quanto previsto dallo schema di decreto legislativo di riforma dell’Irpef (e delle altre imposte sui redditi), approvato dal Governo ed in attesa dell’esame da parte delle Camere.
Cos’è l’agevolazione ACE?
L’agevolazione in discorso intende premiare gli incrementi di patrimonio netto derivanti dai versamenti dei soci (a titolo di capitale sociale o più in generale ad incremento del netto patrimoniale) e l’accantonamento di utili a riserva, rispetto al patrimonio netto esistente al 31.12.2010.
Pur essendo un’agevolazione contenuta (oggi il rendimento nozionale da applicare agli incrementi è pari all’1,3%), qualora gli incrementi di patrimonio siano mantenuti anche negli esercizi successivi l’agevolazione si ripete anche in tali periodi, ragion per cui la “stratificazione” degli aumenti patrimoniali consente l’applicazione ripetuta dell’agevolazione.
Dal punto di vista tecnico, l’agevolazione Ace non consiste in una variazione in diminuzione del reddito d’impresa, bensì in una riduzione del reddito imponibile, con la conseguenza che, in assenza di capienza reddituale, si viene a formare un’eccedenza Ace riportabile negli esercizi successivi.
La sua abrogazione
Come anticipato, l’articolo 5 dello schema di decreto attuativo delle disposizioni in materia di riforma fiscale (di cui alla L. 111/2023) prevede l’abrogazione dell’Ace a partire dal periodo d’imposta 2024. Non saranno, pertanto, più rilevanti gli incrementi patrimoniali che si formeranno a partire dal periodo d’imposta 2024. Per quanto riguarda il periodo d’imposta 2023, l’Ace si applicherà nel modello Redditi 2024 in misura pari all’1,3% degli incrementi patrimoniali realizzati nei periodi d’imposta dal 2011 al 2023, al netto dei decrementi realizzatesi negli stessi periodi.
Per gli incrementi patrimoniali, si ricorda che, mentre l’utile rileva per l’intero importo accantonato (quello dell’esercizio 2022 accantonamento nel 2023 per le società di capitali e l’utile 2023 per le società di persone), i versamenti dei soci eseguiti nel corso del 2023 devono essere ragguagliati a giorni che intercorrono tra la data del versamento e la chiusura del periodo d’imposta. Ciò significa che eventuali versamenti operati dai soci in quest’ultimo periodo del 2023 avranno un impatto poco incisivo nella misura dell’agevolazione.
Assumono rilevanza, quali incrementi, anche le rinunce dei soci formalizzate nel corso del 2023 di precedenti finanziamenti (documentate possibilmente a mezzo Pec), tenendo conto che, anche per tali rinunce, deve essere eseguito il ragguaglio dei giorni restanti tra la data della rinuncia e la chiusura del periodo d’imposta.
Al contrario, eventuali riduzioni di patrimonio netto derivanti da distribuzioni di riserve o di capitale sociale ai soci avvenute nel corso del 2023 riducono per l’intero importo l’agevolazione, a prescindere dalla data in cui è avvenuta la distribuzione. Tale circostanza dovrebbe costituire un deterrente per eventuali delibere di distribuzione da adottare entro la fine del 2023, per le quali è opportuno valutare il rinvio all’esercizio successivo, a partire dal quale non sarà più applicabile l’agevolazione in questione, con conseguente irrilevanza dei decrementi patrimoniali.
È bene, infine, osservare che l’articolo 5 dello schema di decreto prevede che eventuali eccedenze Ace non utilizzate e residue al termine del periodo d’imposta 2023, e che non siano state convertite in credito Irap, non verranno perse e potranno essere portate a riduzione dell’imponibile degli anni successivi senza limiti di tempo e fino al loro completo assorbimento.