Il tema dei servizi infragruppo nell’ambito dei gruppi internazionali rappresenta sistematicamente un’area densa di potenziali criticità, in modo particolare quando l’impresa italiana riceve gli addebiti dall’impresa associata estera, ma il problema non è da trascurare anche quando è l’impresa italiana a fungere da service provider.
In quest’ultima circostanza, l’attenzione va posta sulla congrua valorizzazione, secondo il principio di libera concorrenza, dei servizi resi alle imprese associate estere, che sovente sono remunerate secondo un modello a cost plus, ossia sulla base dei costi sostenuti a cui viene applicato un mark up solitamente variabile a seconda dell’intrinseco “valore” dei servizi resi.
Tipologie di riaddebiti nei servizi infragruppo
Le due maggiori tipologie di servizi riaddebitati infragruppo sono:
- quelli riferiti ai servizi che l’impresa associata rende in proprio utilizzando l’organizzazione di cui è dotata;
- ovvero quelli riferiti ai servizi acquistati ad hoc da terzi soggetti indipendenti e volti a dare una diretta utilità all’impresa estera associata.
I secondi sono meglio conosciuti come c.d. addebiti “pass through” allo scopo di sottolineare che l’intervento dell’impresa locale è sostanzialmente passante, ovvero di mero intermediario nell’acquisto del servizio dal fornitore locale, e nel suo addebito all’impresa associata estera – o alle imprese associate estere – nel cui interesse specifico i servizi sono stati acquistati.
La questione talora dibattuta, soprattutto in caso di verifica, è se questi addebiti “pass through” debbano essere oggetto di mark-up da parte dell’impresa associata italiana.
Sentenza della Corte di Giustizia n.1373/2021
Un utile spunto di riflessione sull’argomento proviene dalla sentenza della Corte di Giustizia di secondo grado di Milano n. 1373-2021.
L’Agenzia delle Entrate aveva rilevato nel caso di specie che l’impresa italiana addebitava ad un’impresa associata estera dei corrispettivi per prestazioni di servizi senza applicazione di mark up, e perciò ne aveva contestato la non aderenza al principio di libera concorrenza ex articolo 110, comma 7, Tuir, accertando di conseguenza un maggiore imponibile.
I giudici di primo grado avevano già riconosciuto che il mark-up non era dovuto nel caso di specie, in quanto l’impresa residente aveva agito quale mera mandataria fra il fornitore terzo e l’impresa associata, per cui non aveva fornito in concreto alcun servizio, bensì si era limitata ad addebitare lo stesso costo a sua volta addebitatole dal fornitore terzo indipendente.
Dalla lettura della sentenza, emerge anche che, la contestazione si era in particolare basata sul fatto che l’impresa italiana fungeva da service provider verso altre imprese dello stesso gruppo, fornendo un insieme di servizi di supporto in diverse aree; per questi servizi, essa veniva remunerata invece applicando ai costi sostenuti un congruo mark up. Dalla base di calcolo del mark up erano esclusi, però, gli oneri definiti “pass-through“, che erano rappresentati dai compensi corrisposti ai fornitori terzi.
La CGT di secondo grado di Milano ha confermato la correttezza dell’operato della società residente, riconoscendo che, ove essa avesse agito come mera “intermediaria” tra l’utilizzatrice del servizio e l’impresa terza prestatrice, limitandosi al solo addebito all’impresa associata estera dei costi sostenuti presso il fornitore terzo indipendente, non si rendeva richiesta l’applicazione del mark-up, in quanto la stessa non prestava un vero e proprio servizio e quindi non apportava alcun sensibile valore aggiunto al servizio medesimo.